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L'errore di Paulson
Paulson ha commesso su Fannie e Freddie l'errore più grave. Lo ha fatto quando in un'intervista a Pechino il 10 agosto dichiarava: «Non abbiamo in programma di investire denaro in queste due istituzioni». A luglio invece la nuova legge sulla casa aveva esteso formalmente ai due giganti dei mutui la garanzia del Tesoro: la nazionalizzazione vera e propria era solo questione di tempo. Fino a estate molto avanzata quindi il Tesoro, la Federal reserve e la Casa Bianca speravano che la situazione reggesse a che potessero essere il prossimo Congresso e il prossimo Presidente a mettervi mano.
Accanto a questo, c'è stata una generale sottovalutazione della portata dell'infezione finanziaria e dell'intrattabilità del problema dei mutui, non solo subprime. Con il mercato della casa che non accenna a migliorare, anche se la metà dei pignoramenti sono in soli due Stati, California e Florida, le conseguenze finanziarie dei mutui in protesto e le difficoltà di altri strumenti come i cds (credit default swap, i titoli che garantiscono contro le inadempienze di un altro titolo) e simili non potevano non farsi sentire. La previsione che settembre sarebbe stato un mese difficile era stata fatta a primavera (si veda «Il Sole 24 Ore» dell'11 maggio scorso, dove si osserva che anche per alcuni motivi tecnici legati alla maturazione dei mutui «la portata della crisi Usa sarà nota solo a fine estate»). Il 7 settembre, annunciando la nazionalizzazione dei giganti Fannie e Freddie, Paulson aveva fatto intendere, o così veniva interpretato, che quella sarebbe stata l'ultima immissione diretta di fondi pubblici dopo i 29 miliardi dati a marzo in garanzia dell'acquisizone di Bear Sterns, la più piccola delle banche d'investimento, da parte di JPMorgan. Ma non sarà così.
Domenica 14 settembre, lo showdown
Domenica 14 settembre, con un annuncio choccante per tutta la finanza internazionale, sparivano dalla mappa sia Lehman Brothers che Merrill Lynch, «in uno dei giorni più drammatici nella storia di Wall Street», come scriveva il New York Times. Il Tesoro rifiutava infatti di ripetere le garanzie offerte a marzo per Bear Sterns.
Da un paio di settimane Richard S. Fuld Jr, Ceo di Lehman, cercava disperatamente di convincere i partner d'affari a continuare i rapporti con Lehman, ritenuta invece sempre più inaffidabile e non in grado di far fronte ai propri impegni. Il titolo crollava in Borsa.
Una serie ininterrotta di riunioni, a partire da venerdì pomeriggio nella sede della New Yok Federal Reserve a Lower Manhattan, non aveva portato a nulla. Da Paulson e da Timothy F. Geithner, presidente della Fed di New York, i banchieri presenti si erano sentiti dire che non ci sarebbe stato nessun intervento federale e che Wall Street doveva farsi carico dei propri problemi. Dieci fra le maggiori banche concordavano quindi la creazione di un fondo d'emergenza tra i 70 e i 100 miliardi di dollari per proteggersi dai contraccolpi di un fallimento di Lehman.
Il fallimento restò evitabile fino a domenica mattina. La trattativa con l'inglese Barclays si interruppe infatti nelle prime ore del 14 settembre. Mentre si era conclusa quella fra Merrill Lynch e la Bank of America di Charlotte, North Carolina (il nome è quello della vecchia Bank of America di Amadeo P. Giannini, acquistata dalla Nations Bank di Charlotte, che ne assunse la denominazione). Passata di mano a 50 miliardi di dollari, contro i 100 della capitalizzazione di Borsa di un anno fa, Merril Lynch chiudeva 73 anni di attività autonoma, ma salvava il posto di lavoro a molti dei 60mila dipendenti. Garantiva qualcosa agli azionisti. Ed evitava quel salto di qualità della crisi che invece il fallimento di Lehman ha provocato.
«Le grandi crisi sono sempre esposte ai capricci dell'imprevisto», diceva Charles P. Kindleberger, lo storico dell'economia autore di uno studio sulle crisi finanziarie diventato un classico. E non c'è dubbio che l'ostinazione di Fuld abbia impedito una vendita che avrebbe creato meno ansietà sui mercati. La fine di Lehman è stata traumatica. Solo mitigata dal fatto che, uscito di scena Fuld, Barclays ha potuto trovare un accordo e acquisire a un prezzo stracciato (1,7 miliardi) le attività americane. Lehman era un nome storico ma una realtà piuttosto recente: una costola di American Express ritornata autonoma nel 1994, dopo essere stata acquisita da AmEx circa 25 anni fa. A uccidere Lehman sono stati i debiti – perché Fuld ha voluto bruciare i tempi e acquisire uno status pari a quello di rivali più introdotte – e i titoli del mercato immobiliare, sempre più inaffidabili man mano che aumentano i pignoramenti.
Martedì 16, la bomba Aig
Mentre diceva no a Lehman, Paulson sapeva già di dover dire sì ad Aig, la più grossa compagnia assicuratrice americana con un business tradizionale solido, ma rovinata dall'ingresso sul mercato dei nuovi prodotti finanziari.
Se l'operazione Fannie e Freddie, per le dimensioni delle due finanziarie, è la madre di tutti i salvataggi, quella su Aig è la meno ortodossa e la più discussa. In entrambi i casi però gli interventi sono stati dettati da considerazioni internazionali.
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